La cupola del Brunelleschi e il cotto
Dal passato una lezione di modernità

Maestri del Cotto Srl

Firenze, 1420. Nella mente di Filippo Brunelleschi prende forma un'impresa architettonica che avrebbe sfidato i limiti tecnici del suo tempo e segnato per sempre la storia dell’arte: la costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore. Ma se è vero che ogni grande architettura nasce da un'idea rivoluzionaria, è altrettanto vero che si regge su materiali concreti, scelti con perizia. Tra questi, uno si distingue per la sua umile nobiltà: il cotto.


Un materiale antico per un'opera moderna
Il cotto è uno dei più antichi materiali da costruzione dell’umanità: impastato con argilla e acqua, modellato e poi cotto in forno, attraversa la storia dall’antica Mesopotamia fino al Rinascimento italiano, mantenendo una versatilità e una resistenza straordinarie. Quando Brunelleschi si trovò davanti alla sfida di costruire la cupola più grande mai realizzata fino ad allora – senza centina e senza precedenti tecnici a cui ispirarsi – scelse proprio il cotto come uno degli elementi cardine del suo progetto.
La sua scelta non fu né casuale né puramente estetica. Il cotto, infatti, unisce leggerezza strutturale e durevolezza. Le caratteristiche fisiche del materiale – porosità, resistenza alla compressione, facilità di lavorazione – lo rendevano ideale per alleggerire il peso complessivo della cupola, riducendo le sollecitazioni sulle strutture sottostanti.


Mattoni su spirale: l’ingegno nel dettaglio
Brunelleschi non si limitò a impiegare il cotto: lo reinventò nel metodo costruttivo. Utilizzò mattoni in cotto disposti secondo un particolare schema “a spina di pesce”, un incastro che alternava elementi orizzontali e verticali, in modo da garantire stabilità anche in assenza di una centina di sostegno. Questo sistema, oltre a migliorare la distribuzione dei carichi, permetteva ai muratori di avanzare gradualmente verso l’alto, con una costruzione autoportante.
I mattoni in cotto, realizzati appositamente per la cupola, erano prodotti nelle fornaci dei dintorni di Firenze e calibrati con grande precisione. Ogni pezzo veniva posato a mano, seguendo le curve ellittiche della struttura, in una danza tra geometria e materia che ancora oggi stupisce per la sua intelligenza costruttiva.


Cotto e luce: l’estetica della materia
Se la funzione strutturale del cotto nella cupola è fondamentale, non va dimenticato il suo ruolo estetico. Il colore caldo, terroso e vibrante di questo materiale conferisce alla cupola una tonalità unica che muta con la luce del giorno: al mattino appare rosata, al tramonto si accende di riflessi dorati, mentre nelle giornate nuvolose assume un tono morbido e silenzioso. Il cotto diventa così anche un filtro poetico tra architettura e paesaggio.
In un’epoca in cui il marmo era spesso simbolo di monumentalità, Brunelleschi scelse un materiale apparentemente più povero, ma capace di esprimere una raffinatezza silenziosa. Un gesto che oggi potremmo leggere come sostenibile e intelligente: utilizzare risorse locali, materiali durevoli e tecniche costruttive efficienti.


Un’eredità che parla ancora
La cupola del Duomo di Firenze è oggi uno dei simboli più riconoscibili al mondo, ma è anche una straordinaria testimonianza di come l’ingegno umano possa elevare un materiale “semplice” come il cotto a protagonista di un capolavoro architettonico.
Chi oggi lavora con il cotto – architetti, restauratori, artigiani – sa che maneggia una materia viva, capace di raccontare storie antiche ma ancora attuali. Il cotto della cupola non è solo un ricordo del passato: è una lezione di modernità.
In un’epoca in cui si riscoprono i materiali naturali, durevoli, locali, la scelta di Brunelleschi appare più che mai attuale. E ci ricorda che, talvolta, per guardare avanti con intelligenza, occorre saper guardare indietro con rispetto.

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